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Se non è Yalta le somiglia
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Va bene la retorica e la propaganda ma i fatti?

Chi arma Kiev

Gli Usa hanno seccamente rifiutato armi a Kiev e questo subito dopo che Israele, che in questi traffici   è dominante, si era negato a sua volta. Ma chi è il principale rifornitore bellico del governo di Kiev? Lo Streit Group. Dal nome si potrebbe pensare ad una compagnia inglese o americana e invece no, teoricamente è canadese ma è di proprietà russa! (German Goutrov) E vende armi alla “nemica” Kiev mentre Washington e Tel Aviv che, secondo la versione più gettonata, avrebbero condotto in Ucraìna un assalto a Mosca, si rifiutano di farlo.

Nemici in volo sulle stesse ali

In Iraq l'offensiva Nato contro l'Isis che sicuramente ha come effetti collaterali l'attacco ai socialnazionali e  ha come obiettivi reali il controllo dell'arteria del gas e della futura miniera di shale nonché quello della filiera curda del narcotraffico, utilizza aerei russi per il trasporto delle truppe. Del resto Rasmussen, all'ultimo vertice Nato, ha ben espresso quale sia la portata di questo “conflitto” est-ovest. “Al momento non possiamo considerare più la Russia un partner strategico della Nato ma ci auguriamo che ciò cambi presto”. Come segnale di uno scontro di civiltà e come premessa ad una guerra termonucleare non c'è male!

Bizzarre queste sanzioni

Le sanzioni sono contro la Russia o contro l'Europa? A parte il fatto che sono intervenute solo dopo che lo spazio economico detto eurasiatico era stato inaugurato e, quindi, consentivano di aggirarle triangolando con il Kazakhstan, cosa che nell'Italia dei furbi non si è ancora capita, esse danneggiano noi più che Mosca la quale, guarda caso, ha incassato molto di più di quanto aveva perso grazie agli accordi con Pechino, con Riad e con Tel Aviv che ci scalzeranno prendendo il nostro posto.

Bizzarra questa rivoluzione

Il governo di Kiev è composto dai medesimi oligarchi che c’erano prima di Maidan, con incarichi al tempo in cui comandava Mosca, tutti contemporaneamente filorussi e filoccidentali o, se preferite, cosmopoliti, legati ai magnati dell'est e dell'ovest, cosmopoliti anch’essi con buona pace di chi non lo sa o non lo vuole sapere. Il parlamento è tuttora zeppo di comunisti e filorussi. La spartizione ucraìna si è verificata a solo vantaggio della Russia che mantiene le zone ricche e strategiche e lascia a noi la bed company per la quale era costretta a versare onerose sovvenzioni annue che  adesso ricadranno sulle nostre tasche. Inoltre la balcanizzazione dell'est, in zone di futuro sfruttamento energetico, permetterà alle compagnie supernazionali e internazionali di tenere un controllo stabile – l'instabilità statale è sempre stabilità del capitale apolide – e alla Russia d'incassare di più dal gas che vende in occidente. Il tutto nella prospettiva di un'obbligata spartizione delle zone energetiche all'indomani della grande offensiva americana che le ha sconvolte e della necessità di ottenere a conguaglio  dall’occidente i capitali e il know how indispensabili per lo sfruttamento dei giacimenti in profondità e di quelli geograficamente un po’ troppo sparsi in Russia e molto difficili da sfruttare.

Partite in guerra che vi armiamo!

La crisi aveva dettato sia a Mosca che a Washington, tra le altre cose, il taglio delle spese di armamenti. Gli Usa hanno già annunciato che, invece, li incrementeranno. La tensione in Ucraìna ne ha fornito il pretesto. E in questo Putin è stato formidabile: poteva concludere la spartizione già a fine marzo occupando quanto aveva deciso di far suo ma per invadere ha invece atteso settembre in modo da alzare la tensione e rafforzare l’idea di conflitto. L’occidente non gli è stato da meno: se Kiev fosse entrata nella Nato l’invasione russa sarebbe stata problematica invece le è stato offerta soltanto un’associazione esterna con la Ue. Se i due “nemici” non sono il Gatto e la Volpe gli assomigliano parecchio. La crisi si è condensata in Ucraìna ma le armi vanno soprattutto altrove.
Sul fronte  dei paesi esportatori, sono proprio gli Stati Uniti e la Russia a guidare la classifica mondiale, insieme sfiorano il 60% dell'intero fatturato. Secondo il Sipri, il flusso di armi è aumentato soprattutto in direzione dell'Africa, America, Asia e Oceania, mentre è diminuito verso l'Europa.

Stallo tedesco a vantaggio inglese

L'Europa subisce ancora una  volta il gioco delle potenze. La balcanizzazione ucraìna ha messo in stallo la Germania che con la sua politica economica, energetica e diplomatica verso est era stata la locomotiva dell'intesa eurorussa, e ciò fin dai tempi di Kohl, rimettendo in sella, nella nuova guerra fredda, Londra che ha recuperato l'intesa con Varsavia e che con l'affermazione dei falchi nelle regioni di cerniera tra l’una e l’altra sta disarticolando, complice il Cremlino, la politica d'intesa tra Europa e Russia.

I cambiamenti di umore di Mosca

Fino al 2013, dunque prima dell’insurrezione di Maidan che Mosca non ha minimamente cercato d’impedire, la Russia si proponeva come la miglior partner possibile per l'Europa. Sosteneva a gran voce l'Euro, fino al punto di fare di Strauss-Kahn il testimonial del South Stream; poi pian piano, e ben prima della rivolta di Kiev, ha cambiato orientamenti adattandosi ai nuovi equilibri dettati dall'espansione americana su tutti i fronti. Ha stretto un'alleanza privilegiata con Tel Aviv fin dal novembre 2013, inizialmente a danno della causa palestinese, poi nel nome della vigilanza mondiale contro ogni forma di antisemitismo e di qualsiasi revisione storica sui fascismi. Ha quindi siglato un patto energetico con Israele  con il quale si è fatta garante della destinazione del petrolio sottomarino di Cipro, e con l'Arabia Saudita. Infine si è rivolta alla Cina, con cui esistono motivi di convergenza ma anche di profondo attrito, in particolare sulla Siberia. Insomma, per ragioni che saranno anche sacrosante per l'interesse russo, Mosca ha preso atto dei cambiamenti e ha mutato politica tornando ad essere – per quel che concerne lo spicchio europeo – l'Altro Blocco. Esattamente come prima del 1989 e con gli stessi toni e comportamenti.

Quell’oscena propaganda antifascista

I russi non brillano per flessibilità né per seduzione di soft power. Riesumata la guerra fredda hanno fatto meccanicamente ricorso a tutta la retorica bolscevica più fastidiosa. Dalla Grande guerra patriottica, al nemico nazista (sono riapparsi nella loro propaganda addirittura i panzer tedeschi!). Tutta la crociata è stata scatenata nel nome dell’antifascismo e le aperture alle minoranze europee disposte a sostenere la causa di Donbass si sono avute a Yalta sotto l’ombrello di un roboante “Soviet Antifascista della Federazione Russa”. Quisquilie direte; forse finché non si vedono e non si annusano. Poi se lo stomaco resiste vuol dire che abbiamo stomaci di razze diverse.

Quando si parla di Yalta sapete di cosa si parla?

Yalta cosa fu? Non di certo solo la spartizione planetaria ma un preciso confronto tra potenze, fatto di una complicità di fondo e anche di non poche rivalità; che è quel che si ripercuote oggi, tra tutti i players  che si trovano ad essere contemporaneamente alleati e competitori tra loro e ciò a seconda del lato dello scacchiere in questo Nouvel Ancien Régime che s’ispira al Seicento.
Sostenere che siamo, almeno in questo spicchio di globo, nello Yalta 2, non significa affermare che non ci sia rivalità tra Washington e il Conlega Minor russo né che non si debba operare in prospettiva per riportare quest’ultimo sulla linea a noi favorevole che oggi ha abbandonato.
Dubito che le destre reazionar-populiste che hanno accolto l’invito e il finanziamento russo per intavolare una cooperazione la intendano strategicamente e non servilmente. In ogni caso i loro atteggiamenti sono comprensibili, a patto che si pongano prospetticamente e non si schierino fellonescamente contro i camerati ucraìni.
Che abbiano poi una visione europea è troppo pretendere; per il resto buona fortuna comunque a loro, meno che agli italiani che, sapendo quanto sangue e quanta pulizia etnica sia stata compiuta qui da noi sotto quel nome, hanno osato sedersi nel Soviet Antifascista con una faccia di bronzo che nemmeno il Venticinque luglio.  A loro si può augurare soltanto che i rubli vengano spesi per richiedere la grazia a San Gennaro…

Spezzare Yalta o sostenerla con tutte le forze?

Yalta va spezzata, non va sostenuta. Stare contro la Russia significa sostenere Yalta e condannare l’Europa esattamente come schierarsi con Putin in quel presunto scontro che non c’è.
La storia si ripete, anche se sempre su livelli minori e meno esaltanti. Eccoci di nuovo alle suggestioni di una contrapposizione tra blocchi che si vuole anche scontro di civiltà.
La differenza tra le civiltà in contrasto è davvero  minima, fatta di sfumature: siamo agli alter fast-food, agli alter melting pot e alle alter oligarchie. Alla fin fine tutto si fossilizza sulla questione dei matrimoni gay, nel che Mosca non è diversa da Pechino, da Ankara o da Budapest. Se questo fosse l’unico indicatore allora l’Isis sarebbe un modello di civiltà… In quanto ai blocchi, non si scontrano tra loro ma semplicemente congelano noi.
Tuttavia la frenesia del tutto e subito, l’insofferenza esistenziale e le logiche della società dello spettacolo inducono spesso a trasformare le ombre cinesi in numi e a ragionare di conseguenza. Se sbagliata è la premessa però non si può che sbagliare e vagare appunto come ombre.
Come allora i comunisti delirarono appresso all’Unione Sovietica, oggi la tendenza a lasciarsi ingannare al seguito di una presunta causa russa è forte ma ha la stessa consistenza di allora con l’aggravante dell’esperienza ignorata.

Quei Reduci della Rsi nel partito comunista

Corsi e ricorsi: nel dopoguerra ben trentamila volontari della Rsi s’iscrissero al Partito comunista proprio perché ragionarono così. Trentamila non uno scherzo! Specie dopo gli eccidi di fascisti commessi dai partigiani rossi. Non approvavano le scelte di campo del Msi ma non ebbero la forza, il coraggio e l’intelligenza di tener botta come fecero invece Massi o Pini e finirono quindi agli ordini di Togliatti a condannare post mortem tutta la dirigenza della Rsi e, di fatto, tutto il loro passato. Trentamila fascisti nel Pci erano tanti ma non produssero alcun cambio né alcuna sintesi nuova, soltanto una serie di rinnegamenti progressivi di se stessi. Il fascismo è morto dicevano. Il fascismo non muore mai, rispondo io con Evola e Bardèche, perché è un modo di essere che è centrale anche nel suo stesso superamento, indispensabile come bussola e asse per qualsiasi sintesi che, per inciso, non può comunque essere prodotta con i simboli osceni della sovversione né negli stati di folla collettiva e tellurica dell’orda priva di Khan.
Ci sono anche volontari camerati nel Donbas voi dite? Pare che siano cinque, di sicuro molti ma molti di meno che nel campo opposto dove non troneggiano stelle rosse, simboli antifa e retoriche partigiane; ma anche fossero trentamila essi non cambierebbero nulla. Così come non lo fece allora quella scelta di trentamila ex camicie nere che non servì né a produrre una sintesi che non ci fu né a far effettivamente scontrare i due campi tra i quali, dicevano, non si potesse non scegliere anche sacrificando la propria identità e la fedeltà al sangue dei camerati caduti. Non ci riuscirono loro e neppure i comunisti greci sacrificati da Stalin nella loro guerra civile sull’altare degli accordi tra potenze che già prevaleva su tutto.
Alcuni oggi sono partiti seguendo le orme di quelli che sbagliarono allora: onore al loro coraggio. Si comprendono le motivazioni che li spingono, benché siano costruzioni mentali pure che si scontrano con la realtà dei fatti.
Quest’ultima parla chiaro. Se si vuol fare qualcosa, anche per la Russia, si deve spezzare la spirale e non alimentarla. Alimentarla poi nella rivolta contro il padre e contro il fratello apre la porta verso altre dimensioni che sarebbe il caso di evitare scrupolosamente. Ma per questo bisogna ri-cordare e ricollegarsi all’ordine imperturbabile, cosa ardua oggi quando è necessaria più presenza a sé di quanta ne fosse necessaria un tempo.